domenica 29 novembre 2015

In attesa del Padre

Ecco un libro che ho trovato in sintonia con parecchie rflessioni che sto facendo lavorando con gli adolescenti e le loro famiglie. Ma è anche un libro che mi ha dato spunti sul mio essere genitore e padre, imperfetto ed impantanato nella fatica di vivere oggi.
Massimo Recalcati, (suo il testo "Il complesso di Telemaco" Feltrinelli) mi ha anche permesso  di ri-avvicinarmi ad alcune questioni psico-analitiche che avevo intravisto negli anni dell'università e poi relativamente accantonate per rivolgermi ad altro. E forse non è un caso che proprio ora, momento per me di riflessione profonda sulle mie scelte di indirizzo, stia ripescando vecchie suggestioni di quel modo di intendere la terapia.
Veniamo al testo.  Posso subito affermare di avere colto parecchio materiale nel libro, materiale che ha impegnato i miei pensieri per un bel po di tempo. Il tema dell'assenza del padre, anzi della sua "evaporazione" nella società attuale è qualcosa di non nuovo: con prospettiva diversa ne aveva colto il segnale anche Galimberti nel suo trattare dell'"ospite inquietante" (il nichilismo) che abita gli adolescenti di oggi. Qui Recalcati fornisce un quadro più sistematico e filosoficamente connotato del come, nell'evoluzione sociale degli ultimi cinquanta anni, si è arrivati a dovere attendere, proprio come Telemaco, un ritorno del padre. In qualche modo si trova giustificare in termini psicoanalitici ed anche sociali, un fenomeno a mio avviso assai diffuso e che va capito più che giudicato: la mancanza del padre. I padri spesso ci sono fisicamente, mentre, ed è qui che sta l'argomentazione del libro, sono mancanti nei termini di una presenza simbolica, paterna in senso educativo.
Per chi non ha familiarità con la teoria di Lacan, a cui Recalcati attinge a piene mani, non è immediata la comprensione di alcune riflessioni sull'importanza del registro simbolico e del linguaggio nella strutturazione delle relazioni, e nel fatto, ancora più ampio, del suo dare un senso alla nostra vita. Per Lacan non solo l'inconscio è strutturato come un linguaggio, ma è il linguaggio, come opportunità di accedere ad un registro simbolico di pensiero, a renderci esseri "umani", a strapparci da una vita regolata dalle pulsioni e dall'istinto.
Non è qui la sede per parlare di Lacan nè per fare una recensione dettagliata del libro. Voglio solo riportare gli spunti che più si sono "impigliati" nel leggerlo.
Il primo elemento di riflessione riguarda appunto l'importanza della "Legge della Parola" che  permette di distinguere la dimensione umana da quella animale. Il linguaggio come forma di astrazione simbolica che genera pensieri in assenza di oggetti, permette agli uomini di elevarsi al di sopra del godimento puro della vita. E quindi di poterci definire esseri umani. Senza linguaggio, i segni che utilizziamo per comunicare sono contestuali, cioè riguardano il contesto ristretto al nostro orizzonte sensoriale. I segni senza linguaggio, non hanno "significato". E' come guardare un cartello stradale con una freccia e limitarsi a considerare quel segno come un indicatore di direzione. Il "linguaggio" stradale permette di vedere in quella freccia il senso di un codice che regola il flusso del traffico e il movimento delle persone nella strada. Non solo. Il linguaggio ci permette di anche di potere parlare del cartello in sua "assenza", per pura astrazione di significato, al di fuori ed al di là della nostra sfera sensoriale.
Ebbene Recalcati assume che uno dei compiti, o una delle responsabilità , dell'essere genitore e dell'essere padre e madre consista proprio nell'offrire un orizzonte di senso ai propri figli; questo  può avvenire solo attraverso una "castrazione simbolica". La mediazione del linguaggio permette di accedere ad un orizzonte di senso che può affrancare i figli dall'esperienza del godimento fine a se stesso. Se quindi un atteggiamento castrante del genitore, in termini di proibizione figlia di una legge, si può tradurre nella frase "non farlo" o "non essere così", la castrazione simbolica si pone su un piano diverso, con l'obbiettivo di  generare dubbi, piuttosto che regole: "perchè fai cosi?" è una interrogazione dell'Adulto che restituisce potere e senso all'azione orientata al puro soddisfacimento di un bisogno. L'orizzonte di significato ci permette in questo modo di liberarci sia dal cieco impulso come dalla altrettanto miope negazione "a priori" dello stesso, che spesso, in quanto svuotata di una chiara e riconoscibile motivazione, genera ribellione e non autonomia di pensiero.
I ragazzi di oggi sono fisiologicamente, ma anche socialmente, orientati alla via della immediata soddisfazione del bisogno che, a causa della stagione del benessere degli ultimi decenni, risulta una via relativamente accessibile. Un tempo, neanche troppo lontano, qualche generazione fa, la castrazione era pura proibizione del gesto del godimento. Il padre padrone negava a prescindere, probabilmente forte del fatto che lui stesso era costretto a scendere a patti con la rinuncia che la condizione dei tempi gli imponeva. Le possibilità erano limitate, l'autorità paterna stava "nelle cose stesse", aveva un alleato forte, la vita. I figli reagivano con atteggiamenti di adattamento ma anche di ribellione e di sfida che portavano energia vitale, forza propulsiva.
Oggi non è più così: i genitori di oggi spesso sono i figli di allora che non vogliono fare rinuncie. Nella società di oggi, che Recalcati definisce "iperedonistica", sono i genitori i primi ad avere smarrito la dimensione castrante della proibizione. Gli adulti di oggi non si fanno mancare nulla, e quando accade che per cause di forza maggiore, vedi la crisi, sono costretti alla rinuncia, "vanno in crisi". Il limite è solo frustrazione, tornare indietro, fallire. Diventa perciò difficile individuare nella castrazione simbolica del puro piacere (in altre parole "dare un senso alla rinuncia") un valore, non solo auspicabile ma necessario, in particolare per le generazioni che si stanno formando. Secondo Recalcati è in primo luogo il genitore a doversi assoggettare alla "Legge della Parola" se vuole essere un agente educativo efficace, "testimone" in carne ed ossa, attraverso il proprio esempio, della complessità del vivere di oggi. Se gli adulti di oggi cercano il puro godimento della vita, senza possibilità di differimento, senza simbolizzazione, alla stregua dei propri figli adolescenti, non c'è più alcuna differenziazione generazionale, e così i padri e le madri diventano "compagni" dei figli.
La via d'uscita consiste, secondo Recalcati, nella riappropriazione da parte degli adulti e dei genitori della propria responsabilità nel definire un senso della rinuncia, immaginata non come mera sconfitta, ma come opportunità di crescita e di cambiamento, come polarità intermedia tra il soddisfacimento senza sforzo e la catastrofe della proibizione. Così Recalcati: "[...] Affinchè vi sia funzione simbolica del limite, il limite deve essere innanzitutto una esperienza di chi lo fa esistere." E ancora: " Affinche la Legge della Parola possa trasmettersi da una generazione ad un altra, un padre, un genitore, è tenuto ad applicarla innanzitutto su di sè, è tenuto a fare esperienza della perdita del suo godimento. Un padre in questo senso, non si identifica mai con la Legge, perchè è il suo rispetto per la Legge della parola che lo rende padre."
In questo percorso può essere riconquistata anche la finitezza dell'essere "un" genitore, uno che non possiede in modo onnipotente il destino del figlio, che non può evitargli l'esperienza, a volte fisiologicamente dolorosa, della vita, dell'incontro/scontro con l'Altro (penso ai genitori che litigano con gli insegnanti che non "capiscono" o non "conoscono" il loro meraviglioso pargolo, anche se prende sistematicamente  7 in condotta).
Mi viene da pensare a tante situazioni, anche nella mia esperienza clinica, in cui i padri e le madri faticano per primi ad assoggettarsi alla Legge della Parola, quasi chiedendo ai figli di farlo anche per loro, al posto loro, da soli. In questo rifiuto del limite in un mondo in cui tutto è possibile velocemente, il genitore passa al figlio l'illusione che il futuro sia in realtà  un eterno presente, caratterizzato dall'accesso immediato al soddisfacimento. Così, non è possibile alzare lo sguardo, vedere in prospettiva, immaginare una distanza tra impulso e sua soddisfazione. Quando questo iato viene dalla vita posto o imposto, è una tragedia.

E forse, anche qui riprendendo alcune riflessioni di Recalcati, vale anche la pena di pensare di potere recuperare ed educare i nostri giovani alla dimensione del "desiderio", come espressione di una pulsione rimandata, che sottende una attesa. Perchè è in questa attesa, in questo tempo dilatato, che si annida ciò che viene visto oggi come un terribile nemico: il dubbio. Ovvero, l'esperienza di senso.

Nessun commento:

Posta un commento