Un libro trovato per caso
su uno scaffale di una libreria che sta per chiudere. Il titolo suona
interessante anche perchè contiene una parola per me magica:
"fratello". Ed ecco che entra prepotentemente nella toplist dei libri
del momento visto che ho la cattiva abitudine di praticare la lettura in
parallelo. L'argomento è quello giusto e noto e mi stupisco di non avere
sentito parlare prima del libro. Karl parla in prima persona di sè e della sua
esperienza con il fratello di Noah, autistico a basso funzionamento nato a metà
degli anni sessanta. Si trattava di un periodo di scoperta della sindrome, che
adesso, anche in considerazione di una diffusione consistente viene affrontata
con metodi e terapie tra i più diversi e controversi, da quelli cognitivo
comportamentali alle diete specifiche. Allora l'autismo era un campo di studio
pressochè vergine con poche esperienze di cura efficace e molti punti interrogativi senza una risposta. Nel
libro una parte sicuramente interessante riguarda lo sforzo della famiglia di
Karl e Noah di trovare una cura efficace per l'autismo attraverso l'inevitabile
pellegrinaggio da uno specialista ad un
altro. E' così che possiamo accedere alla prospettiva di un genitore che a quei
tempi si arrabattava, per fortuna non senza spirito critico, tra le varie
proposte terapeutiche. Infatti i genitori di Karl sono "costretti" a
fre i conti con i potenziali sensi di colpa generati dall'approccio
psicodinamico di Bettelheim (La Fortezza vuota, 1967) volto a ricondurre gli
esiti della sindrome ad una rapporto disfunzionale nella diade madre bambino,
in cui "sentimenti materni di indifferenza, negativi o ambivalenti, si
presentano quali spiegazioni dell'autismo infantile". Oppure come pionieri della terapia ABA di
Lovaas, scandinavo precursore degli approcci cognitivo comportamentali
(compreso l'uso di avversivi fisici o elettroshock). Karl descrive in modo
molto competente la fioritura di approcci per una sindrome pressochè
sconosciuta ed incompresa (come oggi?).
Karl e Noah oggi |
Veramente significativo il
vissuto di sibling che si viene a dipanare nel racconto fino ad arrivare al
disincanto della speranza che incontra la realtà. (sono volutamente vago per
non svelare troppo la trama). Inoltre, Karl, pur descrivendo in modo chiaro le
sue vicissitudini tipiche del sibling, non si definisce mai come prototipo del
fratello, ma anzi assume un atteggiamento singolare: ci tiene molto ed a più
riprese a sottolineare il fatto che lui è Karl con una propria identità
indipendente dal fatto di essere fratello di Noah; non vuole essere
"ridotto al fratello di...", anche se in alcuni casi potrebbe fargli
molto comodo, ad esempio nel significare (o giustificare) la sua attrazione
prima e dipendenza poi dalle sostanze stupefacenti. Karl non cerca scuse per la
sua adolescenza turbolenta che ad un certo punto addirittura porta i genitori
ad essere più preoccupati per lui che per Noah, anche se riconosce il fatto che
la vita di famiglia sia stata condizionata pesantemente dall'autismo di suo
fratello. In ogni caso ci tiene alla propria identità e se ne assume fino in
fondo la responsabilità. Il finale va scoperto ma può bastare dire che Karl non
smette, ancora oggi, di testimoniare la condizione di un autistico grave adulto
e della mancanza di risorse e di attenzione per questa categoria di persone con
disabilità.
Per chi vuole approfondire
trova su YouTube un video documentario sulla famiglia di Karl e Noah girato a
più riprese a distanza di molti anni. Alcune dichiarazioni sono sconvolgenti.
Lo trovate sotto "60 Minutes Noah, part 1 e 2".
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