domenica 29 novembre 2015

Il Tempo della psicoterapia. Parte 1 il narcisismo culturale

A partire da considerazioni più "leggere" legate al via vai dei pazienti ed alla difficoltà di molti a trovare energie e motivazione in un percorso di psicoterapia ho trovato occasione di riflettere sulle modalità ed i tempi della psicoterapia di oggi. In questa riflessione mi sono imbattuto in un libro che ho trovato soprendentemente utile: La psicoterapia nell'età del narcisismo di Joel Paris. L'autore inizia il suo saggio giustificando culturalmente la nascita della psicoterapia, che a suo avviso affonda le radici nella spinta propulsiva della società industriale e post industriale verso la realizzazione dell'individuo nel suo progetto di vita personale e nella "scoperta" del mondo interiore come oggetto di interesse e di studio. L'introversione e introspezione diventano valori che la psicoterapia può coltivare rivolgendo gradualmente l'attenzione dal mondo della collettività, esterno, al mondo del singolo ed in particolare al suo mondo interno. La psicoterapia, dal 900 in poi tende a sostiruirsi ad altri sistemi tradizionali di riferimento e di cura come ad esempio le religioni o i sistemi valoriali forti; questi sono culturalmente improntati alle coltivare appartenenze a gruppi o sottogruppi sociali che da sempre hanno costituito un forte collante tra le persone. Nell'era della industrializzazione post rurale l'individuo come soggetto singolo prende posto al centro dell'attenzione e i suoi bisogni finiscono sotto i riflettori, anche della terapia, così come la sua affermazione, la sua possibilità di realizzarsi a prescindere (o addirittura nonostante) il contesto sociale in cui si trova immerso. La psicoterapia rappresenta il luogo giusto: spazio per l'ascolto e la comprensione del mondo interiore, dei vissuti, delle necessità della persona che sta nella  stanza della terapia con qualcuno esclusivamente dedicato a lei. Paris provoca con una domanda delicata. La psicoterapia ha assolto il suo compito di cura? Ha risolto i problemi psicologici delle persone? Le psicoterapie infinite, e lui se la prende in particolare con la psicoanalisi, hanno generato il benessere per cui sono state concepite? La risposta a questa domanda è di impronta culturale oltre che scientifica.

Innanzitutto Paris ritiene ingiustificata l'eccessiva proliferazione delle  scuole di psicoterapia che, secondo lui, come nell'ambito della medicina, necessiterebbero di un approccio scientifico "evidence based". In base alle ricerche sembra infatti che i risultati positivi delle psicoterapie della parola risiedano in variabili tutto sommato trasversali, nonostante lo sforzo profuso dalle correnti psicologiche per differenziarsi. In questo modo la babele della psicoterapia confonde i pazienti con una vastissima offerta di approcci spesso tendente a sottolineare differenze più "estetiche" che sostanziali, trascurando invece la valorizzazione di un approccio scientifico alla psicoterapia che Paris rileva esclusivamente nell'approccio cognitivo comportamentale di Beck e successori. In effetti la CBT (cognitive behavioural therapy) è senza dubbio la terapia più corroborata da evidenze scientifiche e i molti studi sulla sua validità ed efficacia ne ha hanno fatto l'approccio più diffuso ed utilizzato in occidente, sopratutto nordamericano. Secondo Paris le psicoterapie classiche e di lunga durata colludono con il "narcisismo culturale" imperante, favorendo il rivolgersi delle attenzione e delle energie sulla persona intesa come individuo e sul suo mondo interno, a discapito dei legami con la comunità. Le persone in terapia passerebbero molto tempo a parlare di sè e delle proprie difficoltà, scavando nel passato e nelle radici del loro malessere, impegnate per anni a scandagliare gli abissi dell'inconscio e perdendo di vista la propria realtà presente e le opportunità che questa riserva. Secondo Paris il narcisismo culturale assume l'individualismo e il suo soddisfacimento  come valore assoluto e scontato, per cui le richieste in terapia sono spesso rivolte a obbiettivi come "autostima" , "autorealizzazione", "ritrovare se stessi", "conoscere la propria identità", "capire chi sono e cosa voglio". Domande alle quali, il terapeuta, dovrebbe rispondere: "per fare che cosa?". La vita reale, per intenderci le questioni legate alla famiglia, al lavoro, alle amicizie, temi ricorrenti in terapia, non si ferma alla sfera del proprio Sè in modo autoreferenziato, ma va necessariamente oltre, se pensiamo l'individuo come parte di un sistema sociale; vivere la vita significa impegnarsi nel raggiungimento di obbiettivi (anche relazionali). L'autostima non dovrebbe essere un costrutto autoreferenziato, bensì frutto di una co-costruzione sociale e di una integrazione tra pluri percezioni (la nostra e quelle degli altri). Non è etico pensare "Io vado bene nonostante quello che pensa tutto il mondo!". La conoscenza di sè non ha valore intrinseco, diventa utile nella misura in cui facilita gli "attaccamenti", la costruzione di reti sociali ed affettive ed il loro mantenimento o cambiamento nel tempo. Paris individua nell'atteggiamento vittimistico un tipico tratto narcisistico che richiama le attenzioni, continue, su di sè indicando un disperato bisogno di attenzione e di conferme. La psicoterapia rinforza in alcuni casi l'autoindulgenza e la giustificazione del malessere attraverso operazioni archeologiche rivolte al mondo arcaico  in cui è sempre possibile trovare un appiglio per la propria de-responsabilizzazione nel presente. Se la "psicoterapia è un intervento sociale condotto in un contesto sociale" ne deriva che come ogni struttura sociale deve fare i conti con fattori che riguardano lo stare insieme e le regole della buona convivenza. Al riguardo Paris fa un affondo interessante rispetto alla posizione valoriale del terapeuta che non dovrebbe astenersi dal parlare anche in terapia di questioni e scelte etiche, eventualmente anche esplicitando la propria posizione. Il fatto di parlare di etica e valori nel contesto terapeutico non è una novità (cfr. un testo illuminante "Scrutare nell'anima" di W. Doherty), ma in questo caso risulta coerente con la necessità rilevata da Paris di allargare l'orizzonte dell'individuo al proprio contesto sociale, aiutandolo a soppesare e valutare l'impatto delle proprie azioni sul proprio mondo relazionale. Il relativismo etico in virtù del primato della libertà personale (faccio ciò che mi sta bene indipendentemente dalle conseguenze che le mie azioni hanno sugli altri e posso cambiare idea a seconda dei miei esclusivi bisogni) non dovrebbe essere incoraggiato dalla psicoterapia per un motivo semplice ma non banale su cui Paris fonda l'obbiettivo del suo approccio, che suona più o meno così: il benessere delle persone dipende dalla qualità dei rapporti che instaurano e investire nel "capitale sociale" rappresenta sempre un buona operazione di salvaguardia anche di se stessi. Se siamo animali sociali e ci occupiamo, attraverso l'occuparci degli altri, di mantenere il nostro capitale sociale, faremo anche il nostro interesse nel medio lungo termine, anche se ciò può prevedere una negoziazione o addirittura una rinuncia ai nostri esclusivi bisogni nel presente (corsivo mio).

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