A partire da considerazioni più "leggere" legate
al via vai dei pazienti ed alla difficoltà di molti a trovare energie e
motivazione in un percorso di psicoterapia ho trovato occasione di riflettere
sulle modalità ed i tempi della psicoterapia di oggi. In questa riflessione mi
sono imbattuto in un libro che ho trovato soprendentemente utile: La psicoterapia nell'età del narcisismo
di Joel Paris. L'autore inizia il suo saggio giustificando culturalmente la
nascita della psicoterapia, che a suo avviso affonda le radici nella spinta
propulsiva della società industriale e post industriale verso la realizzazione
dell'individuo nel suo progetto di vita personale e nella "scoperta"
del mondo interiore come oggetto di interesse e di studio. L'introversione e
introspezione diventano valori che la psicoterapia può coltivare rivolgendo
gradualmente l'attenzione dal mondo della collettività, esterno, al mondo del
singolo ed in particolare al suo mondo interno. La psicoterapia, dal 900 in poi
tende a sostiruirsi ad altri sistemi tradizionali di riferimento e di cura come
ad esempio le religioni o i sistemi valoriali forti; questi sono culturalmente
improntati alle coltivare appartenenze a gruppi o sottogruppi sociali che da
sempre hanno costituito un forte collante tra le persone. Nell'era della
industrializzazione post rurale l'individuo come soggetto singolo prende posto
al centro dell'attenzione e i suoi bisogni finiscono sotto i riflettori, anche
della terapia, così come la sua affermazione, la sua possibilità di realizzarsi
a prescindere (o addirittura nonostante) il contesto sociale in cui si trova
immerso. La psicoterapia rappresenta il luogo giusto: spazio per l'ascolto e la
comprensione del mondo interiore, dei vissuti, delle necessità della persona
che sta nella stanza della terapia con
qualcuno esclusivamente dedicato a lei. Paris provoca con una domanda delicata.
La psicoterapia ha assolto il suo compito di cura? Ha risolto i problemi
psicologici delle persone? Le psicoterapie infinite, e lui se la prende in
particolare con la psicoanalisi, hanno generato il benessere per cui sono state
concepite? La risposta a questa domanda è di impronta culturale oltre che
scientifica.
Innanzitutto Paris ritiene ingiustificata l'eccessiva
proliferazione delle scuole di psicoterapia
che, secondo lui, come nell'ambito della medicina, necessiterebbero di un
approccio scientifico "evidence based". In base alle ricerche sembra
infatti che i risultati positivi delle psicoterapie della parola risiedano in
variabili tutto sommato trasversali, nonostante lo sforzo profuso dalle
correnti psicologiche per differenziarsi. In questo modo la babele della
psicoterapia confonde i pazienti con una vastissima offerta di approcci spesso
tendente a sottolineare differenze più "estetiche" che sostanziali,
trascurando invece la valorizzazione di un approccio scientifico alla
psicoterapia che Paris rileva esclusivamente nell'approccio cognitivo
comportamentale di Beck e successori. In effetti la CBT (cognitive behavioural
therapy) è senza dubbio la terapia più corroborata da evidenze scientifiche e i
molti studi sulla sua validità ed efficacia ne ha hanno fatto l'approccio più
diffuso ed utilizzato in occidente, sopratutto nordamericano. Secondo Paris le
psicoterapie classiche e di lunga durata colludono con il "narcisismo
culturale" imperante, favorendo il rivolgersi delle attenzione e delle
energie sulla persona intesa come individuo e sul suo mondo interno, a discapito
dei legami con la comunità. Le persone in terapia passerebbero molto tempo a
parlare di sè e delle proprie difficoltà, scavando nel passato e nelle radici
del loro malessere, impegnate per anni a scandagliare gli abissi dell'inconscio
e perdendo di vista la propria realtà presente e le opportunità che questa
riserva. Secondo Paris il narcisismo culturale assume l'individualismo e il suo
soddisfacimento come valore assoluto e
scontato, per cui le richieste in terapia sono spesso rivolte a obbiettivi come
"autostima" , "autorealizzazione", "ritrovare se
stessi", "conoscere la propria identità", "capire chi sono
e cosa voglio". Domande alle quali, il terapeuta, dovrebbe rispondere:
"per fare che cosa?". La vita reale, per intenderci le questioni
legate alla famiglia, al lavoro, alle amicizie, temi ricorrenti in terapia, non
si ferma alla sfera del proprio Sè in modo autoreferenziato, ma va
necessariamente oltre, se pensiamo l'individuo come parte di un sistema sociale;
vivere la vita significa impegnarsi nel raggiungimento di obbiettivi (anche
relazionali). L'autostima non dovrebbe essere un costrutto autoreferenziato,
bensì frutto di una co-costruzione sociale e di una integrazione tra pluri
percezioni (la nostra e quelle degli altri). Non è etico pensare "Io vado
bene nonostante quello che pensa tutto il mondo!". La conoscenza di sè non
ha valore intrinseco, diventa utile nella misura in cui facilita gli
"attaccamenti", la costruzione di reti sociali ed affettive ed il
loro mantenimento o cambiamento nel tempo. Paris individua nell'atteggiamento
vittimistico un tipico tratto narcisistico che richiama le attenzioni,
continue, su di sè indicando un disperato bisogno di attenzione e di conferme.
La psicoterapia rinforza in alcuni casi l'autoindulgenza e la giustificazione
del malessere attraverso operazioni archeologiche rivolte al mondo arcaico in cui è sempre possibile trovare un appiglio
per la propria de-responsabilizzazione nel presente. Se la "psicoterapia è
un intervento sociale condotto in un contesto sociale" ne deriva che come
ogni struttura sociale deve fare i conti con fattori che riguardano lo stare
insieme e le regole della buona convivenza. Al riguardo Paris fa un affondo
interessante rispetto alla posizione valoriale del terapeuta che non dovrebbe
astenersi dal parlare anche in terapia di questioni e scelte etiche,
eventualmente anche esplicitando la propria posizione. Il fatto di parlare di
etica e valori nel contesto terapeutico non è una novità (cfr. un testo
illuminante "Scrutare nell'anima" di W. Doherty), ma in questo caso
risulta coerente con la necessità rilevata da Paris di allargare l'orizzonte
dell'individuo al proprio contesto sociale, aiutandolo a soppesare e valutare
l'impatto delle proprie azioni sul proprio mondo relazionale. Il relativismo
etico in virtù del primato della libertà personale (faccio ciò che mi sta bene
indipendentemente dalle conseguenze che le mie azioni hanno sugli altri e posso
cambiare idea a seconda dei miei esclusivi bisogni) non dovrebbe essere
incoraggiato dalla psicoterapia per un motivo semplice ma non banale su cui
Paris fonda l'obbiettivo del suo approccio, che suona più o meno così: il benessere delle persone dipende dalla
qualità dei rapporti che instaurano e investire nel "capitale
sociale" rappresenta sempre un buona operazione di salvaguardia anche di
se stessi. Se siamo animali sociali e ci occupiamo, attraverso l'occuparci
degli altri, di mantenere il nostro capitale sociale, faremo anche il nostro
interesse nel medio lungo termine, anche se ciò può prevedere una negoziazione
o addirittura una rinuncia ai nostri esclusivi bisogni nel presente (corsivo
mio).
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