lunedì 18 gennaio 2016

Disabilità "al maschile"


Lavorare con le famiglie di persone con disabilità è spesso per me occasione di incontrare uomini e donne straordinari.
Non è una novità che più spesso le occasioni di riflessione e di sostegno, sopratutto incontesto di gruppo, siano colte dalle figure di sesso femminile. Di solito i maschi si "tengono alla larga" dai gruppi di auto-mutuo-aiuto o dalle occasioni di scambio con altri genitori o parenti o vengono trascinati a forza dalle controparti femminili. Quando mi è capitato di incontrare padri e compagni nei percorsi formativi o nei gruppi di sostegno ho sempre pensato che avere a disposizione una visione maschile della questione disabilità fosse una risorsa importante, se non indispensabile.
Ma perchè, fatte le debite virtuose eccezioni, è così difficile per i padri partecipare a momenti di scambio e di sostegno con altri che vivono esperienze simili? Da padre e terapeuta mi sono dato nel tempo alcune risposte, basate sulle occasioni di incontro e sul confronto con colleghi e colleghe che si occupano di disabilità. La maggior parte delle risposte sono frutto di pregiudizi, contaminazioni che tendono a generalizzare ed a irrigidire posizioni potenzialmente più flessibili.
Vediamone insieme alcune.

"Meglio fare che raccontare"
Il maschile è notoriamente più operativo e concreto che riflessivo e comunicativo; lo so che sembra una banalità, la scoperta dell'acqua calda oppure una frase tratta da "gli uomini vengono da marte e le donne da venere". Tuttavia c'è una parte di verità nell'essere, uomini e donne, diversi oltre che culturalmente anche filogeneticamente. Di fronte alle difficoltà ed i problemi da risolvere, l'atteggiamento maschile è decisamente più improntato all'azione ed alla soluzione pratica delle questioni legate al problema. E questo per quanto negli ultimi decenni le le differenze di genere si sono molto uniformate fino a presentarci uomini e donne come quasi "intercambiabili".  Spesso l'uomo agisce, ancora prima di avere chiaro l'obbiettivo da perseguire; l'impulso interviene nel definire prioritaria la traduzione in gesto concreto del bisogno di fare e risolvere.
Quante volte ho sentito donne lamentarsi della scarsa disponibilità del partner al confronto dialettico, oppure della propensione dell'uomo a fare, senza prima consultarsi o riflettere insieme su un piano condiviso. Per molti uomini, parlare delle cose è una perdita di tempo, ed anche le riunioni al lavoro sono molte volte vissute in modo negativo.
Qualcuno pensa che la ritrosia maschile nei riguardi del confronto dialettico sia da attribuire alla consapevolezza di avere competenze linguistiche limitate se paragonate alla media femminile: "Non mi ci metto neanche a parlare con lei! Ha sempre la parola giusta al momento giusto ed alla fine mi tocca darle ragione!".
Se queste sono le premesse, immagino che per molti trovarsi in un contesto di gruppo a maggioranza femminile a parlare delle proprie difficoltà sia una prospettiva quantomeno delicata.

"Mi piego ma non mi spezzo"
L'immaginario sociale del maschile è ancora fortemente improntato alla visione dell'uomo che "non deve chiedere mai", tutto di un pezzo, che non molla di fronte alle difficoltà. Lo sguardo maschile è più spesso rivolto all'esterno e per questo si definisce "estroflesso".  Raccontarsi, parlare di sè in modo introspettivo e non semplicemente descrittivo e superficiale è un compito mai banale, e per alcuni uomini a volte una novità. Prendersi come oggetto del proprio osservare, al di là di un primo strato esterno che può facilmente coincidere con le apparenze, prevede una capacità che alcuni hanno molto sviluppata, mentre per altri è un esercizio molto complesso.
A volte alcuni uomini e papà per sfuggire agli inviti di condivisione di gruppo si trincerano dietro alla frase: "Non so cosa dire, non ho niente da dire". Ma sarà poi vero? Oppure si tratta di non avere dimestichezza con un lessico ed un mondo, quello interiore, che invece è molto denso e ricco?

Emozioni, queste sconosciute
Per alcuni uomini il mondo emotivo è appannaggio del "gentil sesso". E spesso le emozioni vengono identificate come la parte fragile di noi stessi; per questo vanno nascoste, delegittimate e addirittura negate, sopratutto in contesti a rischio di valutazione o critica. Anche qui si tratta di agire più che comunicare. Quindi i maschi sarebbero più inclini a movimentare la propria rabbia come protesta verso le ingiustizie del "sistema società", si tengono attivi e propositivi, lavorano il doppio del solito per non contattare la propria fragilità umorale, la tristezza incombente, e  a volte si tengono lontani da pensieri futuri o troppo lontani nel tempo per evitare la paura dell'ignoto.

Sarà poi cosi vero ed attuale questo panorama del maschile nei confronti delle occasioni di confronto e sostegno in tema di disabilità?
Secondo me le cose sono cambiate negli ultimi anni ed ho visto molti padri coinvolti e partecipi del percorso dei propri figli con disabilità e consapevoli del proprio fondamentale ruolo, che va oltre il "mantenimento" del nucleo familiare.
Penso sia tempo di andare oltre questi clichè e pregiudizi.
E' per questo che ho pensato alla opportunità di un gruppo di confronto, da me condotto, dedicato  alla "disabilità al maschile". Se è vero che i padri possono essere maggiormente coinvolti, mi pare giusto consentire loro di farlo inizialmente in una indispensabile zona di comfort: tra di loro. Se esiste ancora una visione maschile, forse ancora un po' vittima dei pregiudizi di cui sopra, questa va inizialmente assecondata, non combattuta. Parlare tra padri significa anche trovare un contesto in cui la visione del "virile" e della sua messa in scacco nella disabilità, può trovare uno spazio di comprensione più semplice ed immediato. E' inutile negare che alcuni livelli di complicità tra persone dello stesso genere, a volte sono funzionali alla messa in gioco personale e a generare un senso di appartenenza. Quante volte il bisogno di un sano "cameratismo" spinge uomini di tutte le età a partecipare a momenti di condivisione al maschile, ad esempio nello spogliatoio del calcetto o, più classicamente, al bar dello sport? Questo può riguardare anche un tema delicato e complesso come la disabilità?
Questa è la scommessa che intendo raccogliere.
Tra Marzo e Giugno 2016 ho organizzato alcune serate con momenti di condivisione di gruppo dedicate solo ai papà o ai maschi con parenti con disabilità (nonni, fratelli adulti, zii).
Ci troveremo a parlare "al maschile" di cosa significa vivere la disabilità e, spero, molto altro ancora nel mio studio di Milano.Chi è interessato può contattarmi alla mail del blog. Numero di posti limitato.






Alcuni libri testimonianza del vissuto di padri legato alla disabilità dei figli, tutti interessanti, per chi vuole dare una occhiata



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