lunedì 11 gennaio 2016

Family Centered Care

Materiale divulgativo della McMaster University
 sui Family Centered Services
In alcune realtà del mondo anglosassone, la cura centrata sulla famiglia (Family Centered Care)  è diventato un modo di approcciare la disabilità. Alcuni autori e ricercatori che hanno approfondito la filosofia e la metodologia della FCC lavorano alla Mc Master University di Ontario in Canada. L'idea di una Cura Centrata sulla famiglia deriverebbe, in termini filosofici, dal modello psicologico dello psicoterapeuta Carl Rogers che negli anni '50 parlava di terapia "centrata sul cliente". In seguito "negli anni 60 è stata fondata negli USA l’Association for the Care of Children’s Health (ACCH), con l’obiettivo di promuovere la filosofia dell’approccio di cura centrato sulla famiglia (family-centered care)". 
Nel tempo le definizioni di FCC si sono susseguite e all'argomento sono stati dedicati alcuni testi fondamentali come il  "Big Red" del 1987, così chiamato per via della copertina rossa del volume. 
Più recentemente  il gruppo di CanChild ha fornito una definizione dei servizi centrati sulla famiglia (Family Centered Services) a cui ci sentiamo particolarmente vicini e che utilizziamo come riferimento quando parliamo di approccio "family centered":
"Il Servizio Centrato sulla famiglia è costituito da un insieme di valori, attitudini ed approcci rivolti ai servizi per bambini con disabilità ed alle loro famiglie. 
- Il Servizio Centrato sulla famiglia riconosce il fatto che ogni famiglia è unica;
- Riconosce il fatto che la famiglia è la costante nella vita del bambino con disabilità
- Riconosce che la famiglia è esperta in tema di abilità e di bisogni del bambino
- La famiglia lavora a stretto contatto con gli operatori ed i professionisti per prendere decisioni consapevoli riguardo i servizi ed il supporto che il bambino e la famiglia possono ricevere.
- Nei Servizi Centrati sulla Famiglia vengono presi in considerazione le risorse ed i bisogni di tutti  i membri della famiglia." 

Molte ricerche hanno permesso di validare questo approccio e di considerarlo efficace nel sostegno alle persone con disabilità e alle loro famiglie. In particolare sono stati riscontrati effetti positivi sulla riduzione e la gestione dei livelli di stress nella famiglia con conseguente miglioramento della qualità della vita del sistema e della persona con disabilità. Se pensiamo alla definizione di FCS della Can Child ci pare particolarmente importante la considerazione presente nell'ultima frase "vengono prese in considerazione le risorse ed i bisogni di tutti  i membri della famiglia" perchè allarga l'orizzonte d'interesse dei servizi anche ai genitori ed i fratelli delle persone con disabilità. Anche i siblings ad esempio, in questo approccio, possono uscire dalla nebbia della loro normalità in cui sono spesso confinati da un destino "favorevole" e rivendicare bisogni inespressi o inesprimibili ed anche risorse da mettere in comune per il buon funzionamento della famiglia. Il fatto che sia sancita in modo ufficiale la loro presenza come interlocutori dei servizi, in quanto parte della famiglia, li smarca dal ruolo di riserva, eterni "panchinari" in attesa del proprio turno.

Dalla teoria alla pratica, difficili equilibri

Nel tempo ci siamo accorti di quanto sia difficile, almeno nel contesto italiano, passare da una dichiarazione di intenti ad una prassi che possa concretamente interpretare il pensiero e la filosofia della Family Centered Care. Molti operatori e servizi che si occupano di disabilità dichiarano di avere la famiglia come interlocutore privilegiato e ad alcuni appare quasi banale e scontato il concetto di FCC. Quando poi si tratta di declinare nelle proprie consuetudini e nella quotidianità del proprio operare la visione "family centered" le cose non appaiono poi così semplici. In alcuni casi "prendersi cura della famiglia" coincide con l'idea di trovare una terreno di scambio e di collaborazione tra servizi e famiglia in cui la famiglia "aderisce" in modo consapevole e attivo alle indicazioni degli esperti. In altre parole il fatto di costruire un buon rapporto tra servizi e  famiglia deriverebbe per molti dalla necessità di ottenere la migliore "compliance" terapeutica possibile, il che significa il recepimento da parte della famiglia delle soluzioni proposte dagli esperti e il mantenimento di un compito concordato. Questo modo di lavorare, che pure comporta un importante movimento di riconoscimento della famiglia come potenziale alleato nel percorso terapeutico della persona con disabilità, non è riconducibile ad un approccio family centered. Infatti la famiglia, anche se non è intesa  alla stregua di un "ostacolo" al perseguimento degli obbiettivi terapeutici, tuttavia rimane "portatrice sana" di indicazioni di altri, effettivi detentori del sapere. Non è nemmeno utile, a mio parere , un sovvertimento totale del ruolo medico-paziente come è riscontrabile in alcuni approcci come ad esempio nella "pedagogia dei genitori". Secondo questa filosofia di collaborazione sarebbero i genitori a dare indicazioni ai terapisti ed agli operatori su come gestire la disabilità del proprio caro, attraverso veri e propri momenti formativi. Ognuno ha le proprie competenze che vanno rispettate: sia chi ha studiato ed ha esperienza clinica, sia  chi vive in modo spontaneo ed autentico la disabilità come sfida del quotidiano. E' anche vero che il confine di una giusta collaborazione tra famiglia ed esperti nel caso della disabilità ha i contorni maggiormente sfumati. Questo è dovuto al fatto che la disabilità permea la vita della famiglia in alcuni casi scandendone ritmi, tempi, priorità, umori, ruoli, in modo da coinvolgere tutto il quotidiano dei suoi membri. E' quindi normale che alcune scelte ed indicazioni terapeutiche possano incidere in modo profondo sulle dinamiche della famiglia nel suo intero. Gli esperti devono essere consapevoli dell'impatto che con le loro prescrizioni hanno sull'intero funzionamento familiare: laddove si cerca di migliorare le condizioni della persona con disabilità possono innescarsi forti reazioni di fatica e di stress di altri componenti della famiglia. Certo in alcuni casi vale anche il contrario e la famiglia è completamente dedita ai programmi di riabilitazione che prevedono una continuità di esercizio che può essere garantita solo da uno sforzo globale dei care givers, con regole di comunicazione o di gestione dei tempi del quotidiano profondamente modificate ad arte. 
Altre volte si parla di "abilitazione" della famiglia alla riabilitazione, oppure di "parent training", intendendo la necessità che sia la famiglia stessa a diventare esperta della tecnica terapeutica da somministrare alla persona con disabilità. Questione assai delicata. Come distinguere allora, lo spazio di presa di decisione che appartiene alla famiglia, che ha il diritto ad autodeterminare le proprie regole di funzionamento, e lo spazio di prescrizione terapeutica che ha le sue regole, che talora possono richiedere di andare oltre il trattamento specificatamente fornito dall'esperto? In questo complesso panorama diventa difficile tracciare un solco netto tra le competenze professionali e quelle spontanee, e pensiamo che tale confine possa essere indicato solo alla luce della valutazione dei singoli casi. Rimane sicuramente chiaro per noi che ogni eccesso porta uno sbilanciamento nella dinamica familiare: sia che la famiglia si professionalizzi, sia che deleghi all'esperto anche decisioni riguardanti  il proprio funzionamento di famiglia. 

Vedere le risorse di tutti

A nostro avviso la FCC può essere di aiuto nel trovare quel precario equilibrio tra le polarità descritte perchè pone l'accento sul fatto che tutte le risorse disponibili possano dialogare e collaborare nell'interesse della famiglia. Vedere le risorse significa considerare la famiglia  esperta del proprio funzionamento e competente nella gestione della vita di tutti i giorni e dello stress che comporta la presenza di una persona con disabilità. La famiglia, portatrice di un insieme di bisogni che riguardano tutti i suoi membri, è ritenuta capace di prendere decisioni sulla base di tutti questi bisogni (cosa che peraltro fa quotidianamente). La famiglia è, nella stragrande maggioranza dei casi, orientata al benessere ed alla cura della persona con disabilità; ha bisogno che questo processo anche terapeutico sia compiuto in modo compatibile con il benessere e la cura degli altri membri della famiglia, compresi i siblings. La famiglia, se bene informata, è in grado di prendere decisioni in base alle  priorità che si è data in quel momento della sua vita familiare.

D'altro canto vedere le risorse significa anche che i professionisti esprimono il proprio parere frutto delle proprie competenze specifiche e della loro esperienza e possono fornire tutte le informazioni utili alla famiglia nel suo percorso di  presa di decisione. I professionisti hanno fiducia nelle risorse della famiglia e sono orientati al rispetto ed al sostegno delle decisioni che la famiglia nel suo complesso è in grado di esprimere; al contempo evitano di colludere ed illudere essendo chiari ed espliciti sulla propria posizione professionale.

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