Inevitabile, almeno per me, che a fronte di quanto mi ha
risuonato la lettura di Paris (vedi parte 1), pensare a come tradurre
operativamente nella pratica clinica le riflessioni e gli spunti che si sono
"impigliati". Se è vero che negli ultimi tempi ho rivolto energie
all'approfondimento di tematiche psicodinamiche (seguirà un blog dedicato anche
a questo e per esempio vedi In attesa del
padre), rimango saldamente ancorato, ancora di più dopo la lettura di
Paris, alle radici analitico transazionali. In un momento storico come quello
che stiamo vivendo, infatti, mi pare che il pensiero e l'intuizione di Eric
Berne sia di estrema attualità. In un passaggio significativo del suo libro
(pag. 59) Paris fa riferimento ad alcune ricerche con l'obbiettivo di rilevare
i meccanismi di cambiamento che agiscono durante la terapia. Alcuni fattori
"non specifici" si sono rivelati
i più importanti; in maniera del tutto trasversale alle diverse forme di
psicoterapia della parola, i fattori che aiutano maggiormente i pazienti sono:
1) un accordo ben definito 2) una forte alleanza 3) l'incoraggiamento iniziale
4) il focus sui problemi attuali e sulle relazioni interpersonali.
Queste ricerche mi hanno fatto molto riflettere. Mi pare
quasi superfluo sottolineare (non lo è mai in verità) quanto le ricerche citate
indichino nei punti di forza dell'analisi transazionale i fattori "non
specifici" alla base del cambiamento in psicoterapia. Andiamo per ordine:
nel punto 1 si sottolinea l'importanza di un accordo bene definito; questo fattore
diventa attuale anche perchè anche la psicoterapia ed il suo metodo risentono
della "cultura del narcisismo" in cui si alternano le polarità
opposte ed identiche di idealizzazione e svalutazione. Capita sovente che
alcuni pazienti arrivino in terapia con aspettative magiche e con una
ipervalutazione del terapeuta inteso alla stregua di un "Guru" che
attraverso pratiche sorprendenti ed intuizioni folgoranti possa risolvere tutti
i problemi. Lo stesso terapeuta, che in realtà si arrabatta nello sforzo di
mantenere una posizione paritaria e di valorizzazione delle competenze del
paziente, finisce nel breve periodo per scivolare nella categoria delle persone
banali che non mantengono le promesse. Tale percorso mentale, spesso infatti il
salto dalle stelle alle stalle viene più agito che verbalizzato, porta ad una
sospensione o ad una interruzione prematura ed improvvisa della relazione
terapeutica. Va da se che un approccio alla terapia che preveda un percorso
poco definito nel tempo e negli obbiettivi facilita questo tipo di esito,
favorendo dinamiche che potremmo definire di "Gioco" (Berne 1964).
Anche per questi motivi Berne aveva pensato, distanziandosi dalla psico analisi
"interminabile", ad un lavoro terapeutico basato su un accordo ed
"un esplicito impegno bilaterale per un ben definito corso d'azione",
cioè il contratto (Berne 1966). Il contratto è stabilito, da un punto di vista
transazionale, con la porzione disponibile dell'Adulto del paziente e definisce
gli obbiettivi e le priorità del lavoro terapeutico che in ogni caso devono
essere chiari, concreti, raggiungibili, misurabili. Anche i tempi della terapia
sono per Berne definibili anche se non rigidi; la rinegoziazione è sempre
possibile, tuttavia il punto di arrivo stabilito, anche esso coerente con gli
obbiettivi di lavoro individuati, è l'occasione di verificare il lavoro
terapeutico svolto. Questo modo di operare offre al paziente un orizzonte di
impegno e di investimento a medio termine, senza l'esigenza di affidarsi al
"guru" per tempi indefiniti e con la possibilità di sentirsi
protagonista del proprio percorso. Ultimamente si parla di "pazienti
imprenditori" facendo riferimento a quei pazienti che gestiscono anche la
propria psicoterapia in termini che definiremmo manageriali, cercando a lungo
su internet oppure chiedendo primi colloqui gratuiti per "sondare" il
terapeuta, senza limitarsi alla prima indicazione, chiedendo referenze e
indicazioni curricolari come garanzia di serietà e competenza. Un approccio che
tende a spiazzare il terapeuta tradizionale abituato a dettare le regole del
setting da una posizione non negoziale; non dimentichiamo che fino a poco tempo
fa era pratica abituale di alcuni psicoanalisti considerare le proprie vacanze
come unico momento di sospensione della terapia (con il risultato che se il
paziente andava in vacanza in momenti diversi doveva pagare le sedute a cui non
era presente).
I punti 2 e 3 vorrei accomunarli perchè si riferiscono
entrambe alle fasi iniziali di un percorso terapeutico, quando la persona porta
la propria sofferenza ed è più in difficoltà: in Analisi Transazionale potremmo
parlare di una parte bambina che cerca un ascolto ed un conforto. Si tratta di
un momento importante della terapia, quello dedicato all'accoglienza della
persona che ha bisogno di sentirsi accettata e di sapere che può sviluppare,
nel contesto terapeutico, un rapporto di fiducia. Quest'ultima è favorita dal
vincolo di riservatezza, tipico del setting terapeutico, che tuttavia non è
sufficiente a generare fiducia se non viene assistito da ascolto attivo ed
atteggiamento empatico da parte del terapeuta. Il terapeuta è a disposizione
non con il ruolo di Salvatore che può risolvere tutti i problemi attraverso
consigli e strategie vincenti, ma in quanto fedele alleato nella scoperta di
ciò che fa stare meglio, con particolare attenzione alla dimensione etica.
Al giorno d'oggi poi, nell'ambito della cultura del
narcisismo osserviamo sempre più spesso il fatto che le persone richiedono la
consulenza terapeutica in momenti di crisi, quando la sovra-struttura narcisistica
cede e le certezze su cui la persona ha basato la propria stabilità vengono
meno. Si tratta di un momento di rottura, in cui alcuni eventi della vita
(delusioni lavorative o personali, sconfitte, esposizioni sociali) riportano la
persona in contatto con la propria vulnerabilità. Per alcuni è una esperienza
molto difficile, quasi intollerabile e la sua inaccettabilità, anche in termini
di vergogna sociale, li spinge a trovare un rifugio "sicuro" nella
stanza della terapia. In queste situazioni l'incoraggiamento diventa un buon
modo di costruire alleanza e curare, almeno in prima battuta, le ferite
(narcisistiche) che la vita ha imposto. Il terapeuta è chiamato ad un sano
equilibrismo tattico terapeutico nell'offrire, contemporaneamente, il sostegno
ed il conforto per il Bambino ferito coniugato ad un atteggiamento di
valutazione adulta dell'accaduto, che aiuta la persona a non idealizzare la
terapia, per poi svalutarla in seguito. Per molte persone l'obbiettivo
inconsapevole del lavoro terapeutico coincide con il recupero dell'equilibrio
perduto e con la ricostruzione della corazza narcisistica che avevano smesso
per un po', sentendosi nudi e vulnerabili. Per altro una valutazione
co-costruita tra paziente e terapeuta del momento di crisi può rappresentare,
in alcuni casi, l'occasione per guardare alle cose in modo diverso, con una prospettiva, per così dire,
decentrata. Ciò può essere molto utile per alcuni, nella misura in cui le
proprie difficoltà possono essere considerate frutto di re-azioni degli altri
ad un atteggiamento egoistico o di sfruttamento delle relazioni. Ma questo è
già molto in termini di cambiamento terapeutico.
Il punto quarto è già comparso all'orizzonte: il presente e
le sue criticità sono il focus di attenzione su cui concentrare le energie di
cambiamento. Loomis ["I contratti di cambiamento", Neopsiche, 1990]
parlerebbe di "contratto di controllo sociale" riferendosi al lavoro
terapeutico su situazioni di difficoltà che richiedono alcune ristrutturazioni
cognitive ed emotive, che in AT definiamo decontaminazioni, al fine di
individuare opzioni efficaci nel qui e ora per risolvere problemi contingenti.
Si tratta di un lavoro terapeutico che
solitamente segue o si sovrappone alla costruzione di una alleanza terapeutica
ed alla individuazione di obbiettivi contrattuali.
Anche il lavoro sulle relazioni interpersonali è ancorato al
presente ed ha lo scopo di rendere maggiormente efficaci i rapporti che la
persona in terapia intrattiene nella propria vita sociale, familiare,
lavorativa attraverso un'analisi adulta e consapevole di alcune modalità
comunicative disfunzionali e ripetitive e l'individuazione e la sperimentazione
di modalità maggiormente adattive. Lo scopo ultimo rimane quello di consentire
al paziente di mantenere, modificare, aumentare o nella peggiore delle ipotesi ri-costruire
il proprio "capitale sociale". Loomis qui parlerebbe di
"contratto di relazione" quello che aiuta a diventare consapevoli dei
propri stili relazionali per vivere relazioni soddisfacenti. Qualche
psicoterapeuta a questo punto potrebbe obbiettare che i punti indicati da Paris
possono essere oggetto di terapia di qualità e tuttavia oggi sono inquadrabili
anche come campo d'azione di altre discipline, come ad esempio il counselling.
Probabilmente Paris in questa sua concezione unisce due aspetti: primo una
visione della terapia di tipo anglosassone (lui lavora in Canada) che non
prevede una distinzione così netta tra psicoterapia e counselling come ad
esempio nella legislazione italiana o nel mondo AT; secondo, una idea della
terapia "che funziona" orientata a modelli cognitivo comportamentali,
sufficientemente lontana dalla matrice psicodinamica, culturalmente più vicina
al vecchio continente. E' "tutta" qui la psicoterapia? Da analista
transazionale non posso non notare che da sempre nel mondo AT hanno convissuto,
a partire dalla precoce scomparsa del fondatore Berne, anime diverse, che hanno
sottolineato di volta in volta le diverse sfaccettature dell'impronta teorica
originale; se è vero che Berne aveva preso le distanze dal mondo della
psicoanalisi, in cui si era formato, costruendo un nuovo modo di concepire la
terapia definibile come "psichiatria sociale", con un evidente enfasi
sul lavoro incentrato sulla funzionalità adulta, è altrettanto vero che nei
suoi scritti non ha mai abbandonato del tutto l'idea che una parte del lavoro
terapeutico, quello del cambiamento profondo, fosse nonostante tutto
appannaggio e di tecniche terapeutiche della psicoanalisi come ad esempio l'interpretazione.
Anime diverse segnano anche i tempi di una evoluzione della teoria e della
clinica della Analisi Transazionale, che mi piace pensare come un corpus
vitale, in continua evoluzione; queste riflessioni mi rimandano forte la
sensazione che il pensiero di Berne sia ancora di molto attuale e moderno, e mi
conferma che il padre dell'AT fosse un vero precursore.
Il libro di Paris invita noi terapeuti a raccogliere una
nuova sfida, che ci appartiene in quanto abbiamo necessità di collocare il
nostro lavoro nel nostro tempo, anche inteso come tempo storico: "Il
principio più importante è che la psicoterapia è un intervento sociale condotto
in un contesto sociale".
Come definire quindi i confini e le caratteristiche di una psicoterapia
moderna, che non solo possa essere coerente con se stessa e con la propria
storia, ma anche attuale, nel senso di utile alle esigenze delle persone di
oggi?
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