domenica 29 novembre 2015

Il Tempo della psicoterapia. Parte 2. Metodi.

Inevitabile, almeno per me, che a fronte di quanto mi ha risuonato la lettura di Paris (vedi parte 1), pensare a come tradurre operativamente nella pratica clinica le riflessioni e gli spunti che si sono "impigliati". Se è vero che negli ultimi tempi ho rivolto energie all'approfondimento di tematiche psicodinamiche (seguirà un blog dedicato anche a questo e per esempio vedi In attesa del padre), rimango saldamente ancorato, ancora di più dopo la lettura di Paris, alle radici analitico transazionali. In un momento storico come quello che stiamo vivendo, infatti, mi pare che il pensiero e l'intuizione di Eric Berne sia di estrema attualità. In un passaggio significativo del suo libro (pag. 59) Paris fa riferimento ad alcune ricerche con l'obbiettivo di rilevare i meccanismi di cambiamento che agiscono durante la terapia. Alcuni fattori "non specifici" si sono rivelati  i più importanti; in maniera del tutto trasversale alle diverse forme di psicoterapia della parola, i fattori che aiutano maggiormente i pazienti sono: 1) un accordo ben definito 2) una forte alleanza 3) l'incoraggiamento iniziale 4) il focus sui problemi attuali e sulle relazioni interpersonali.
Queste ricerche mi hanno fatto molto riflettere. Mi pare quasi superfluo sottolineare (non lo è mai in verità) quanto le ricerche citate indichino nei punti di forza dell'analisi transazionale i fattori "non specifici" alla base del cambiamento in psicoterapia. Andiamo per ordine: nel punto 1 si sottolinea l'importanza di un accordo bene definito; questo fattore diventa attuale anche perchè anche la psicoterapia ed il suo metodo risentono della "cultura del narcisismo" in cui si alternano le polarità opposte ed identiche di idealizzazione e svalutazione. Capita sovente che alcuni pazienti arrivino in terapia con aspettative magiche e con una ipervalutazione del terapeuta inteso alla stregua di un "Guru" che attraverso pratiche sorprendenti ed intuizioni folgoranti possa risolvere tutti i problemi. Lo stesso terapeuta, che in realtà si arrabatta nello sforzo di mantenere una posizione paritaria e di valorizzazione delle competenze del paziente, finisce nel breve periodo per scivolare nella categoria delle persone banali che non mantengono le promesse. Tale percorso mentale, spesso infatti il salto dalle stelle alle stalle viene più agito che verbalizzato, porta ad una sospensione o ad una interruzione prematura ed improvvisa della relazione terapeutica. Va da se che un approccio alla terapia che preveda un percorso poco definito nel tempo e negli obbiettivi facilita questo tipo di esito, favorendo dinamiche che potremmo definire di "Gioco" (Berne 1964). Anche per questi motivi Berne aveva pensato, distanziandosi dalla psico analisi "interminabile", ad un lavoro terapeutico basato su un accordo ed "un esplicito impegno bilaterale per un ben definito corso d'azione", cioè il contratto (Berne 1966). Il contratto è stabilito, da un punto di vista transazionale, con la porzione disponibile dell'Adulto del paziente e definisce gli obbiettivi e le priorità del lavoro terapeutico che in ogni caso devono essere chiari, concreti, raggiungibili, misurabili. Anche i tempi della terapia sono per Berne definibili anche se non rigidi; la rinegoziazione è sempre possibile, tuttavia il punto di arrivo stabilito, anche esso coerente con gli obbiettivi di lavoro individuati, è l'occasione di verificare il lavoro terapeutico svolto. Questo modo di operare offre al paziente un orizzonte di impegno e di investimento a medio termine, senza l'esigenza di affidarsi al "guru" per tempi indefiniti e con la possibilità di sentirsi protagonista del proprio percorso. Ultimamente si parla di "pazienti imprenditori" facendo riferimento a quei pazienti che gestiscono anche la propria psicoterapia in termini che definiremmo manageriali, cercando a lungo su internet oppure chiedendo primi colloqui gratuiti per "sondare" il terapeuta, senza limitarsi alla prima indicazione, chiedendo referenze e indicazioni curricolari come garanzia di serietà e competenza. Un approccio che tende a spiazzare il terapeuta tradizionale abituato a dettare le regole del setting da una posizione non negoziale; non dimentichiamo che fino a poco tempo fa era pratica abituale di alcuni psicoanalisti considerare le proprie vacanze come unico momento di sospensione della terapia (con il risultato che se il paziente andava in vacanza in momenti diversi doveva pagare le sedute a cui non era presente).
I punti 2 e 3 vorrei accomunarli perchè si riferiscono entrambe alle fasi iniziali di un percorso terapeutico, quando la persona porta la propria sofferenza ed è più in difficoltà: in Analisi Transazionale potremmo parlare di una parte bambina che cerca un ascolto ed un conforto. Si tratta di un momento importante della terapia, quello dedicato all'accoglienza della persona che ha bisogno di sentirsi accettata e di sapere che può sviluppare, nel contesto terapeutico, un rapporto di fiducia. Quest'ultima è favorita dal vincolo di riservatezza, tipico del setting terapeutico, che tuttavia non è sufficiente a generare fiducia se non viene assistito da ascolto attivo ed atteggiamento empatico da parte del terapeuta. Il terapeuta è a disposizione non con il ruolo di Salvatore che può risolvere tutti i problemi attraverso consigli e strategie vincenti, ma in quanto fedele alleato nella scoperta di ciò che fa stare meglio, con particolare attenzione alla dimensione etica.
Al giorno d'oggi poi, nell'ambito della cultura del narcisismo osserviamo sempre più spesso il fatto che le persone richiedono la consulenza terapeutica in momenti di crisi, quando la sovra-struttura narcisistica cede e le certezze su cui la persona ha basato la propria stabilità vengono meno. Si tratta di un momento di rottura, in cui alcuni eventi della vita (delusioni lavorative o personali, sconfitte, esposizioni sociali) riportano la persona in contatto con la propria vulnerabilità. Per alcuni è una esperienza molto difficile, quasi intollerabile e la sua inaccettabilità, anche in termini di vergogna sociale, li spinge a trovare un rifugio "sicuro" nella stanza della terapia. In queste situazioni l'incoraggiamento diventa un buon modo di costruire alleanza e curare, almeno in prima battuta, le ferite (narcisistiche) che la vita ha imposto. Il terapeuta è chiamato ad un sano equilibrismo tattico terapeutico nell'offrire, contemporaneamente, il sostegno ed il conforto per il Bambino ferito coniugato ad un atteggiamento di valutazione adulta dell'accaduto, che aiuta la persona a non idealizzare la terapia, per poi svalutarla in seguito. Per molte persone l'obbiettivo inconsapevole del lavoro terapeutico coincide con il recupero dell'equilibrio perduto e con la ricostruzione della corazza narcisistica che avevano smesso per un po', sentendosi nudi e vulnerabili. Per altro una valutazione co-costruita tra paziente e terapeuta del momento di crisi può rappresentare, in alcuni casi, l'occasione per guardare alle cose in modo diverso,  con una prospettiva, per così dire, decentrata. Ciò può essere molto utile per alcuni, nella misura in cui le proprie difficoltà possono essere considerate frutto di re-azioni degli altri ad un atteggiamento egoistico o di sfruttamento delle relazioni. Ma questo è già molto in termini di cambiamento terapeutico.
Il punto quarto è già comparso all'orizzonte: il presente e le sue criticità sono il focus di attenzione su cui concentrare le energie di cambiamento. Loomis ["I contratti di cambiamento", Neopsiche, 1990] parlerebbe di "contratto di controllo sociale" riferendosi al lavoro terapeutico su situazioni di difficoltà che richiedono alcune ristrutturazioni cognitive ed emotive, che in AT definiamo decontaminazioni, al fine di individuare opzioni efficaci nel qui e ora per risolvere problemi contingenti. Si tratta di un lavoro terapeutico  che solitamente segue o si sovrappone alla costruzione di una alleanza terapeutica ed alla individuazione di obbiettivi contrattuali.
Anche il lavoro sulle relazioni interpersonali è ancorato al presente ed ha lo scopo di rendere maggiormente efficaci i rapporti che la persona in terapia intrattiene nella propria vita sociale, familiare, lavorativa attraverso un'analisi adulta e consapevole di alcune modalità comunicative disfunzionali e ripetitive e l'individuazione e la sperimentazione di modalità maggiormente adattive. Lo scopo ultimo rimane quello di consentire al paziente di mantenere, modificare, aumentare o nella peggiore delle ipotesi ri-costruire il proprio "capitale sociale". Loomis qui parlerebbe di "contratto di relazione" quello che aiuta a diventare consapevoli dei propri stili relazionali per vivere relazioni soddisfacenti. Qualche psicoterapeuta a questo punto potrebbe obbiettare che i punti indicati da Paris possono essere oggetto di terapia di qualità e tuttavia oggi sono inquadrabili anche come campo d'azione di altre discipline, come ad esempio il counselling. Probabilmente Paris in questa sua concezione unisce due aspetti: primo una visione della terapia di tipo anglosassone (lui lavora in Canada) che non prevede una distinzione così netta tra psicoterapia e counselling come ad esempio nella legislazione italiana o nel mondo AT; secondo, una idea della terapia "che funziona" orientata a modelli cognitivo comportamentali, sufficientemente lontana dalla matrice psicodinamica, culturalmente più vicina al vecchio continente. E' "tutta" qui la psicoterapia? Da analista transazionale non posso non notare che da sempre nel mondo AT hanno convissuto, a partire dalla precoce scomparsa del fondatore Berne, anime diverse, che hanno sottolineato di volta in volta le diverse sfaccettature dell'impronta teorica originale; se è vero che Berne aveva preso le distanze dal mondo della psicoanalisi, in cui si era formato, costruendo un nuovo modo di concepire la terapia definibile come "psichiatria sociale", con un evidente enfasi sul lavoro incentrato sulla funzionalità adulta, è altrettanto vero che nei suoi scritti non ha mai abbandonato del tutto l'idea che una parte del lavoro terapeutico, quello del cambiamento profondo, fosse nonostante tutto appannaggio e di tecniche terapeutiche della psicoanalisi come ad esempio l'interpretazione. Anime diverse segnano anche i tempi di una evoluzione della teoria e della clinica della Analisi Transazionale, che mi piace pensare come un corpus vitale, in continua evoluzione; queste riflessioni mi rimandano forte la sensazione che il pensiero di Berne sia ancora di molto attuale e moderno, e mi conferma che il padre dell'AT fosse un vero precursore.
Il libro di Paris invita noi terapeuti a raccogliere una nuova sfida, che ci appartiene in quanto abbiamo necessità di collocare il nostro lavoro nel nostro tempo, anche inteso come tempo storico: "Il principio più importante è che la psicoterapia è un intervento sociale condotto in un contesto sociale".

Come definire quindi i confini  e le caratteristiche di una psicoterapia moderna, che non solo possa essere coerente con se stessa e con la propria storia, ma anche attuale, nel senso di utile alle esigenze delle persone di oggi?

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