Lavorare con le famiglie
di persone con disabilità è spesso per me occasione di incontrare uomini e
donne straordinari.
Non è una novità che più
spesso le occasioni di riflessione e di sostegno, sopratutto incontesto di
gruppo, siano colte dalle figure di sesso femminile. Di solito i maschi si
"tengono alla larga" dai gruppi di auto-mutuo-aiuto o dalle occasioni
di scambio con altri genitori o parenti o vengono trascinati a forza dalle
controparti femminili. Quando mi è capitato di incontrare padri e compagni nei
percorsi formativi o nei gruppi di sostegno ho sempre pensato che avere a
disposizione una visione maschile della questione disabilità fosse una risorsa
importante, se non indispensabile.
Ma perchè, fatte le
debite virtuose eccezioni, è così difficile per i padri partecipare a momenti
di scambio e di sostegno con altri che vivono esperienze simili? Da padre e
terapeuta mi sono dato nel tempo alcune risposte, basate sulle occasioni di
incontro e sul confronto con colleghi e colleghe che si occupano di disabilità.
La maggior parte delle risposte sono frutto di pregiudizi, contaminazioni che
tendono a generalizzare ed a irrigidire posizioni potenzialmente più
flessibili.
Vediamone insieme alcune.
"Meglio fare che
raccontare"
Il maschile è
notoriamente più operativo e concreto che riflessivo e comunicativo; lo so che
sembra una banalità, la scoperta dell'acqua calda oppure una frase tratta da
"gli uomini vengono da marte e le donne da venere". Tuttavia c'è una
parte di verità nell'essere, uomini e donne, diversi oltre che culturalmente
anche filogeneticamente. Di fronte alle difficoltà ed i problemi da risolvere,
l'atteggiamento maschile è decisamente più improntato all'azione ed alla
soluzione pratica delle questioni legate al problema. E questo per quanto negli
ultimi decenni le le differenze di genere si sono molto uniformate fino a
presentarci uomini e donne come quasi "intercambiabili". Spesso l'uomo agisce, ancora prima di avere
chiaro l'obbiettivo da perseguire; l'impulso interviene nel definire prioritaria
la traduzione in gesto concreto del bisogno di fare e risolvere.
Quante volte ho sentito
donne lamentarsi della scarsa disponibilità del partner al confronto
dialettico, oppure della propensione dell'uomo a fare, senza prima consultarsi
o riflettere insieme su un piano condiviso. Per molti uomini, parlare delle
cose è una perdita di tempo, ed anche le riunioni al lavoro sono molte volte
vissute in modo negativo.
Qualcuno pensa che la
ritrosia maschile nei riguardi del confronto dialettico sia da attribuire alla
consapevolezza di avere competenze linguistiche limitate se paragonate alla
media femminile: "Non mi ci metto neanche a parlare con lei! Ha sempre la
parola giusta al momento giusto ed alla fine mi tocca darle ragione!".
Se queste sono le premesse,
immagino che per molti trovarsi in un contesto di gruppo a maggioranza
femminile a parlare delle proprie difficoltà sia una prospettiva quantomeno
delicata.
"Mi piego ma non mi spezzo"
L'immaginario sociale del
maschile è ancora fortemente improntato alla visione dell'uomo che "non
deve chiedere mai", tutto di un pezzo, che non molla di fronte alle
difficoltà. Lo sguardo maschile è più spesso rivolto all'esterno e per questo
si definisce "estroflesso".
Raccontarsi, parlare di sè in modo introspettivo e non semplicemente
descrittivo e superficiale è un compito mai banale, e per alcuni uomini a volte
una novità. Prendersi come oggetto del proprio osservare, al di là di un primo
strato esterno che può facilmente coincidere con le apparenze, prevede una
capacità che alcuni hanno molto sviluppata, mentre per altri è un esercizio
molto complesso.
A volte alcuni uomini e
papà per sfuggire agli inviti di condivisione di gruppo si trincerano dietro
alla frase: "Non so cosa dire, non ho niente da dire". Ma sarà poi
vero? Oppure si tratta di non avere dimestichezza con un lessico ed un mondo,
quello interiore, che invece è molto denso e ricco?
Emozioni, queste
sconosciute
Per alcuni uomini il
mondo emotivo è appannaggio del "gentil sesso". E spesso le emozioni
vengono identificate come la parte fragile di noi stessi; per questo vanno
nascoste, delegittimate e addirittura negate, sopratutto in contesti a rischio
di valutazione o critica. Anche qui si tratta di agire più che comunicare.
Quindi i maschi sarebbero più inclini a movimentare la propria rabbia come
protesta verso le ingiustizie del "sistema società", si tengono
attivi e propositivi, lavorano il doppio del solito per non contattare la
propria fragilità umorale, la tristezza incombente, e a volte si tengono lontani da
pensieri futuri o troppo lontani nel tempo per evitare la paura dell'ignoto.
Sarà poi cosi vero ed
attuale questo panorama del maschile nei confronti delle occasioni di confronto e
sostegno in tema di disabilità?
Secondo me le cose sono
cambiate negli ultimi anni ed ho visto molti padri coinvolti e partecipi del
percorso dei propri figli con disabilità e consapevoli del proprio fondamentale
ruolo, che va oltre il "mantenimento" del nucleo familiare.
Penso sia tempo di andare
oltre questi clichè e pregiudizi.
E' per questo che ho
pensato alla opportunità di un gruppo di confronto, da me condotto,
dedicato alla "disabilità al
maschile". Se è vero che i padri possono essere maggiormente coinvolti, mi
pare giusto consentire loro di farlo inizialmente in una indispensabile zona di
comfort: tra di loro. Se esiste ancora una visione maschile, forse ancora un
po' vittima dei pregiudizi di cui sopra, questa va inizialmente assecondata,
non combattuta. Parlare tra padri significa anche trovare un contesto in cui la
visione del "virile" e della sua messa in scacco nella disabilità,
può trovare uno spazio di comprensione più semplice ed immediato. E' inutile
negare che alcuni livelli di complicità tra persone dello stesso genere, a
volte sono funzionali alla messa in gioco personale e a generare un senso di
appartenenza. Quante volte il bisogno di un sano "cameratismo" spinge
uomini di tutte le età a partecipare a momenti di condivisione al maschile, ad
esempio nello spogliatoio del calcetto o, più classicamente, al bar dello
sport? Questo può riguardare anche un tema delicato e complesso come la
disabilità?
Questa è la scommessa che
intendo raccogliere.
Tra Marzo e Giugno 2016
ho organizzato alcune serate con momenti di condivisione di gruppo dedicate
solo ai papà o ai maschi con parenti con disabilità (nonni, fratelli adulti,
zii).
Ci troveremo a parlare
"al maschile" di cosa significa vivere la disabilità e, spero, molto
altro ancora nel mio studio di Milano.Chi è interessato può contattarmi alla mail del blog. Numero di posti limitato.